Oggi mi rivolgo a te.
Ti osservo da giorni, settimane, mesi, anni… ti scruto in silenzio, a debita distanza. Ed ora decido di affrontarti.
Così, perché credo nella morte più di quanto la vita non sia riuscita a farmi credere in se stessa e allora in virtù di quel domani che sa di ‘troppo tardi’ colgo il mio attimo quotidiano, probabilmente l’ultimo… e ti parlo.
Ma sai che storia parlarti come se fosse l’ultima volta? Un macello colossale, un’apocalisse di parole gettate lì, alla mercé di un attimo impensato, pronte a schiattare nella più banale delle frasi, nella più errata delle interpretazioni.
Io devo dirti troppe cose per farmi bastare un attimo, ho bisogno di troppi attimi per trovare abbastanza parole.
E allora ti dico niente. Resto zitta guardandoti. Ricordando i giorni, i mesi e gli anni passati a scrutarti in silenzio. A quando decidevo di scriverti e non lo facevo. Perché tu hai sempre avuto in mano le battute ed io le interpretavo, tu le ore io i tempi da rispettare, tu la scena io i passi da seguire. Ed ora, senza fili, mi sento ancora e sempre una marionetta…