Il dibattito esistenziale del (mio) momento è: il confronto genera amarezza. L’introspezione autistica, forse, la gratificazione. Ebbene, fra le due, preferisco scalare una montagna di paragoni piuttosto che affogare in un mare di me.
Qualche giorno fa ho deliziato occhi, orecchie e immaginazione con “Gli anni felici”, uno dei pochi film italiani che valga veramente la pena di vedere in questo panorama di storie mal raccontate e attoruncoli improvvisati, dove, all’insegna dello slogan “Eravamo felici ma non lo sapevamo” Luchetti rappresenta uno spaccato degli anni ’70 mischiando in un’orgia di colori, filtri, battute e inquadrature, la devozione sottomessa alla rivoluzione femminista, l’amore totalitario e totalizzante al desiderio di libertà, l’insipienza naif di chi ‘crea per passione altrui’ al desiderio di riscatto avanguardista degli eredi di cubismo e futurismo, ammaliati da quegli Kounellis, Schifani, Festa o Angeli star del momento, precursori ‘forse’ di un futuro infelice.
La storia è semplice perché raccontata da un occhio semplice: quello di un bambino (personificazione del regista, a sua volta voce narrante) che brama le attenzioni di genitori alla deriva. Quello del figlio di un artista mai cresciuto, balbuziente di passioni e determinazione, alla ricerca di un ‘bravo’ proferito dalla madre austera. Quello del prediletto di una madre sottomessa, preda malleabile di attenzioni saffico-rivoluzionarie. Quello del fratello di un simpatico giullare, animatore disincantato dall’età smaliziata.
Tutto, in questo film, è ritmo, dialogo e passione. E se Tornatore affidava al cinematografo il sogno di liberazione dall’ignoranza isolana, Luchetti esaspera il desiderio di ascolto del protagonista, così come la ricerca di libertà della madre, in un tuffo che va oltre la pellicola, oltre al digitale. La poesia e il romanticismo di ieri, l’attesa del soldato ‘Salvatore’ in piedi, alla ricerca spasmodica di una luce accesa, di una finestra aperta, viene soppiantata oggi da una ricercata liberazione dai vincoli amorosi. Dalle stesse catene, le stesse attenzioni, chiuse in un abbraccio, elemosinate dal piccolo protagonista…
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