Nella vita, c’è chi ha il coraggio di buttarsi e chi decide di buttarsi giù. C’è chi va a fondo e precipita e c’è chi resta a galla e sopravvive. Infine, c’è chi vive in apnea, in uno stato che resta in bilico tra le parole non proferite, il respiro trattenuto e l’implosione imminente. Alcuni la chiamano depressione, altri, rinuncia al confronto. Alla scoperta di quanto gli altri ci siano vicini nel nostro dolore. Di quanto condividano le nostre paturnie, i nostri dilemmi esistenziali, le nostre inutili tragedie quotidiane, analizzate da pensieri troppo soli per essere leggeri o troppo condivisi per essere profondi.
E così può succedere che tu sia un Martin Sharp. Popolare. Fra i più famosi e amati di Londra. Che tu conduca il programma del mattino che ti rende il primo volto noto di giornata… E che alla cena di fine produzione una ragazza, una splendida ragazza, versi inavvertitamente il suo vino sui tuoi pantaloni. E che, con la scusa di asciugarti, si avvicini a te. Al tuo naso le sue labbra, al tuo membro le sue mani. Tua moglie, le tue figlie, intanto, si palesano tra i tuoi pensieri. Ma nell’istante di un attimo accade che la lei presente, le sue curve mozzafiato, i suoi approcci seduttivi, vincano sulla sacra famiglia che induce ai rimorsi. E che, nell’atto sessuale, il tuo istinto da uomo attempato, ancora desiderabile per la presunta maggiorenne, ti renda pedofilo. Una condanna, una cella e una pena mai conclusa: fuori dalla galera, il finale del tuo libro è depennato. Il successo, la fama, le tue figlie e la famiglia sono cancellati dal tuo futuro. Il tuo domani si chiama rimorso, il tuo percorso si chiama vuoto, il tuo orizzonte si chiama morte.
Può succedere che tu sia Maureen. Impopolare e invisibile, goffa e umile. Hai sacrificato tutta la sua vita per accudire Matty, tuo figlio disabile. Lo tiri su dal letto, lo nutri, lo lavi. Pulisci le sue feci e riempi le sue giornate di vita che non può vivere, di musica che non può sentire, di squadre per cui non può tifare e che scegli per lui. Sai che le persone vivono di storie e che si svegliano al mattino e affrontano le loro giornate per poterle raccontare. Tu non hai futuro, non hai orecchie a cui raccontare le tue storie né soldi per viverle. Il tuo domani si chiama povertà, il tuo percorso si chiama Matty, il tuo orizzonte si chiama morte.
O ancora, può accadere che tu sia Jess. Ragazzina ribelle, rabbiosa, spregiudicata e cinica. Hai perso tua sorella, scomparsa qualche anno fa, sei stata lasciata dall’ultimo ragazzo incrociato perché “hai talmente tanta rabbia dentro che a volte è come il vomito e…finché non lo tiri tutto fuori non stai bene” e il senso di abbandono ti fa sentire fuoco. Dominante, libero, feroce e improvvisamente spento, incapace di trovare il suo spazio. Il tuo futuro si chiama cenere, il tuo percorso si chiama fiamma, il tuo orizzonte si chiama morte.
O che tu sia J.J. Musicista insicuro, sbadato, confuso, inadeguato. Un membro della tua band ha lasciato il tuo gruppo, ti sei ridotto a fare il pizzaiolo e la tua donna non vuole più saperne di te perché non riesci a darle il giusto peso sentendola troppo pesante o troppo leggera, in un autismo che niente ti fa sentire. E che ti convinca di essere malato al cervello a causa dell’alcol perché “50 anni di nulla davanti sono peggio di una malattia”. Il tuo futuro si chiama avaria, il tuo percorso si chiama vuoto, il tuo orizzonte si chiama morte.
‘Non buttiamoci giù‘, rivisitazione teatrale liberamente tratta dal romanzo di Nick Hornby, rappresenta ogni ‘io’ venuto al mondo e perennemente in lotta con la vita. Rappresenta ogni singolo spettatore di questo spettacolo ben fatto, registicamente perfetto, dove lo spazio scenico è completamente riempito: dalla voce degli attori, dai loro movimenti di ascesa e discesa da un’impalcatura (la ‘casa dei Suicidi’), metafora di un percorso che va dal desiderio di morte a quello di vita, attraverso l’analisi di scelte mancate, di battute delegate ad altri e di infiniti vuoti da riempire.
In scena all’EDI Barrio’s di Milano ho visto Ettore Distasio, la strepitosa Marianna Esposito (protagonista e regista della rivisitazione teatrale), Claudia Ciuffreda e Davide Rustioni (supporto alla regia: Alessandro Davoli, assistente alla regia Stefania D’Ambrosio, luci Luca Lombardi): una squadra di attori, quella de La Compagnia TeatRing che, in ogni singola battuta, è riuscita a portare con sé un bagaglio di delusioni, sogni infranti, fallimenti che dall’iniziale voglia di imporre la propria esclusiva legittimità al suicidio, li porterà a mettere in atto un reciproco riconoscimento e ad abbandonare i propri, comuni, intenti di morte.
Con un linguaggio che palleggia senza sosta tra il ritmo della commedia e la ricerca poetica, la Compagnia TeatRing dà vita ad uno spettacolo che vuole far ridere e commuovere allo stesso tempo prendendo in giro la vita, la morte e la piccolezza del dolore umano. Si passa così dal “Buttati o se vuoi ti ammazziamo” iniziale, a una rincorsa accorata alla vita, quando i quattro protagonisti della storia, di fronte al ‘vero’, inaspettato suicida, ammettono che se non si riesce a superare gli ostacoli, se non si è bravi abbastanza, se non ci si accontenta, non si è comunque soli. Bisogna prendere la propria occasione perché “la morte non basta quando hai vissuto mille vite”.
NOTA DELL’AUTRICE: Questo spettacolo dovrebbe essere messo in scena non solo nei teatri e nelle scuole, ma anche in strutture non convenzionali, ad esempio le carceri o nel resto d’Italia se ci fossero degli spazi d’appoggio. I finanziamenti? Non ci sono ma… NON BUTTIAMOCI GIÙ! Per chi volesse aiutare questo progetto basta cliccare qui.
20 Maggio 2014 at 10:03 am
[…] [__Note di Redazione: Questa recensione è stata pubblicata sul blog dell'autrice: La Pecora Fa Be__] […]
30 novembre 2014 at 10:13 am
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12 dicembre 2014 at 11:38 am
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