Vedere un film è vivere una storia. Puoi farlo con la coccola di un’immagine fissa, di un master rateizzato in inquadrature che il regista ha saggiamente scomposto per non farti perdere nemmeno un punto di vista. Oppure no…
Birdman di Alejandro González Iñárritu, con Michael Keaton, Zach Galifianakis, Edward Norton, Andrea Riseborough, Amy Ryan è la storia di un operatore cinematografico e della sua steadicam. Di 30 giorni di ripresa ‘a mano’, di corse all’indietro, in avanti, di eleganti pirouettes attorno ai protagonisti e poi di fronte a loro. Di un movimento costante, di una vita in bilico, di una visione instabile. Di “chi si è?” veramente e fintamente e di quanto si possa costruire o distruggere se l’aspettativa è unicamente la viralità delle proprie azioni e la possibilità che gli altri le definiscano “all’altezza” di quel nulla omologato.
Dopo l’amaro in bocca lasciatoci da “La Grande Bellezza” sulla greve superficialità dei nostri tempi, arriva un altro film capace di stupire, appassionare, amareggiare sulla condizione umana, si ritorna a un esistenzialismo che vede nella precarietà, nella finitezza e nell’estraneità le uniche condizioni possibili dell’uomo moderno.
Riggan Thompson fonda la sua esistenza sulla celebrità, mai sulla comparazione intima. Emblema dell’uomo moderno, il protagonista si sente maschio, padre, marito, attore nelle impression che genera, nelle prime pagine che gli dedicano, nelle messe in scena pregne di emozioni reali rispetto a una vita di apatica finzione. Il suo intento è portare avanti uno spettacolo in cui crede da solo, ammaliare la peggiore delle critiche con gesti al limite del macabro, arrivare ad ipotizzare un suicidio in scena pur di risultare “un bravo attore”. Attorno a lui esistenze che passano cariche di cinismo, prive di filtri e censure, dove il confine tra verismo e fantascienza stenta a definirsi, dove appare più grottesco un tweet che immortala una faccia ingessata rispetto a un uomo volante.
Birdman evita allo spettatore e, in primis, ai protagonisti, la facilità di uno storytelling facile, di una lettura semplice, di un film scontato. Se vuoi evitare l’abitudine puoi guardarlo e stupirti. Preparati al più fecondo dei mal di testa, a mettere in “pausa” ogni 20 minuti per dare tregua agli occhi e a stupirti di fronte a tutto: a quel piano sequenza che piano sequenza non è, a quegli attori che sembrano aver vissuto in un reality fatto di due ore di battute scandite da un “Motore, azione!” e da un “Buona” finale. E poi, a fine film, prova a leggere le recensioni di chi di cinema ne sa veramente qualcosa: capirai di non aver capito niente. E che Birdman merita mille Oscar anche e solo per questo…