É esistita, tempo fa, la credenza per cui i cartoni animati fossero stati creati, così come le fiabe, per i bambini. Per raccontare a questi ultimi la realtà, il tragico, drammatico vivere, il susseguirsi di incontri, delusioni, disillusioni, amarezze, in una dimensione semplice, fruibile, accettabile anche dai più piccoli. Poi, immagino si sia compreso quanto grandi siano le menti dei bambini, quanto avanti i loro pensieri e quanto piccole le riflessioni di quei superficiali dei grandi e tutto si é capovolto. Sono nati, così, i cartoni per i grandi. E mentre i piccoli cuccioli spolpano “Signori degli anelli” come un tempo i grandi facevano con “Pimpa”, i grandi piangono, ridono e si entusiasmano davanti ai cartoni. E non é neanche detto che li capiscano appieno…
Ho visto “Inside out” di Pete Docter. Non credo ne avrei potuto apprezzare certe morali se non avessi fatto un breve percorso di studi psicoterapeutici nel corso della mia vita. E non credo nemmeno che grazie a quest’ultimo io l’abbia capito veramente, ma provo, comunque, a darne una mia, umile, interpretazione.
Passiamo l’infanzia a cercare i sorrisi. Apriamo gli occhi, appena nati e quello che ci insegnano, ciò che rende gli altri entusiasti, fieri, orgogliosi sono i nostri sorrisi in risposta ai loro. E non c’é parente, amico o conoscente che non gioisca per le risate che ci provoca. Ma arriva un momento in cui la tristezza ci si presenta davanti. C’é tanta gente debole che prova a soffocarla con la gioia. Ma una maschera non ti rende forte, ti rende solo. Bisogna accogliere la tristezza per diventare esseri sociali. Per crescere. Per diventare grandi. Solo che questa cosa, a certi bimbi, viene negata troppo presto. E allora succede che i treni dei pensieri si ritrovino spezzati da binari rotti. Succede che nel forzare la gioia le isole della personalità prendano la deriva e che tutto quanto dell’infanzia ci faceva ridere, piangere, immaginare, venga rimosso. Succede che i pensieri base non abbiano più nessuna base. E succede anche che ci senta galleggiare, sopravvivere in vuoti apatici fatti di niente. Di occhi che non vedono. Di cuori che non sentono più, dove niente riesce a servire più a niente.
Credo che ci siano troppi bimbi, me compresa, che fanno fatica a indossare i panni dei grandi. Che piangono davanti a specchi celati da cartoni della Pixar, perché in tutta questa storia di gnomini colorati che dovrebbero far ridere, emerge una grande verità: tutto ciò che evitiamo in quanto brutto, grasso, scuro, triste, pessimista, debole, umido, tutto quanto vorremmo rimuovere o estromettere dalla torre di controllo dei nostri pensieri, é ciò che ci avrebbe permesso di crescere. O forse, di crescere in una valle di lacrime condivise portandoci, di conseguenza, a essere più sereni, sociali, preparati e pronti di così…