Archivi del mese: febbraio 2016

The Danish Girl

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La cosa che più amo nelle mostre non sono tanto i quadri ma la scoperta che posso fare, in minima parte, della personalità dei loro autori. Ricordo che da adolescente vidi la mostra di un vicino di casa. Lo conoscevo da anni e non sapevo assolutamente nulla di lui benché ci salutassimo tutti i giorni. Nei suoi quadri lo vidi per la prima volta. E da allora lo amai perdutamente…

Se volete vedere un bel film e liberarvi da un po’ di magoni accumulali dal disfacimento di ogni utopistica speranza riposta nello Stato Italiano, dopo la questione sulle Unioni Civili, se avete a cuore la vostra parte più triste e se volete darle voce, spazio, sfogo, correte a vedere The Danish Girl di Tom Hooper con il premio Oscar (non vinto ma assolutamente meritato) Eddie Redmayne e Alicia Vikander (oscar come migliore attrice non protagonista).

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La trama si snoda nella Danimarca di fine ‘800 dove l’apprezzatissimo paesaggista Einar Wegener vive serenamente con la moglie bramando di finire un quadro perfetto, la rappresentazione di una visione d’infanzia: quattro alberi si specchiano su un lago, dietro di loro una distesa d’erba. Tutto intorno luci e ombre e colori che variano di stagione in stagione, dal giorno alla notte. E mentre la moglie illustratrice comincia e finisce innumerevoli ritratti, Einar cambia continuamente tela per riproporre sempre e comunque lo stesso paesaggio che non riesce a trovare forma, senso, compiutezza. Un quadro come proiezione del sé, di una identità femminile imprigionata nel corpo di un uomo. Succede, infatti, che, per consentire alla consorte di finire un ritratto iniziato con una modella ballerina, Einar ne indossi i collant, le scarpe, ne assuma le pose e si scopra assolutamente a proprio agio in quegli abiti. Di lì a poco il protagonista (che odia indossare le maschere per presentarsi agli eventi mondani) decide, appoggiato dalla moglie, di accompagnarla ad una festa travestito da donna, spacciandosi per Lili Elbe.

Da questo momento Einar entra in un loop delirante in cui il proprio io fa i conti con un principio di realtà, con delle regole di accettazione e di omologazione che, difficilmente, riescono a tenerlo in vita, in carne. Viene, infatti, sottoposto a diverse visite mediche. C’è chi lo trova gravemente malato in quanto omosessuale, chi schizofrenico. C’è chi vieta a sua moglie di assecondare la sua voglia perversa di vestirsi da donna, c’è chi tenta di internarlo. Nel mondo attorno, solo sguardi di disgusto e disapprovazione. Finalmente un luminare trova nella sua storia elementi di normalità: Einar è semplicemente e tragicamente Lili, una donna malcapitata nel corpo di un uomo. Il medico lo sottopone a diversi interventi di chirurgia sperimentale per cambiargli il sesso. Nella Danimarca dei primi del ‘900 Einar diventa il primo transessuale della storia (riuscendo a ottenere il riconoscimento legale del suo nuovo sesso e il cambio di nome).

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Questo film è stato vietato ai minori di 14 anni. Io lo inserirei tra le materie obbligatorie nelle scuole elementari. Lo strepitoso Eddie Redmayne è elegante, raffinato, tenero e fragile. È una donna nel corpo di un uomo, è un quadro che non trova forma: nei sorrisi, nei pianti, nell’attitude con cui posa le mani sulle ginocchia o mette a posto i capelli, nella disperazione post-operazione. Non si può uscire dal cinema che con l’istinto di proteggerlo. Dalle brutture di chi definisce la sua condizione una malattia, da chi vieta questo film dove di fisico, morboso, pornografico c’è solo il pregiudizio di chi lo guarda.

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A fine film il quadro incompleto trova, finalmente, una sua forma. Einar diventato Lili sogna di stare tra le braccia della sua mamma come una bimba. Nell’accettazione silente della sua compagna di sempre, di colei che muove e scuote e permuta ciò che da solo non riesce a cambiare, c’è l’ascolto illuminato di un’intera società che finalmente comprende. E che chiaramente non può essere rappresentata dall’Italia del 2016.

Vietate questo film quindi. Evitate di vederlo e restate al sicuro, nelle vostre case prive di quadri, fatte di visioni incomplete e pregiudizi certi.


Tutti salvi: addio stepchild adoption! 

  
Oggi lo Stato italiano si preoccupa di creare un futuro che presupponga risposte moralmente adeguate alla domanda: “perché ho due papà?”. E, affinché questo tipo di quesiti non vengano posti, affinché alcun bambino venga sottoposto al trauma psicologico dell’inadeguatezza alla normalità condivisa, lo Stato italiano si sta muovendo, sin da subito, nella persecuzione di un obiettivo alto, altissimo: il raggiungimento di quello stato di Motore Immobile che solo il Dio di Aristotele era riuscito a interpretare. 

L’Italia resta ferma. Il mondo corre e si evolve ma l’Italia, per preservare il futuro dei prossimi noi, difende a spada tratta il principio deontologico di eterosessualità quale presupposto per la procreazione, al fine di non turbare la fiducia nel futuro, nello Stato, dei cucciolini che verranno.  

Quando mia nipote crescerà le racconterò, quindi, che lei é fortunata, perché ha una mamma e un papà e che ci sono tantissimi bimbi che, invece, sono costretti a vivere con due mamme o due papà. Che lei può avere, agli occhi dei compagni di scuola, un papà che le fa vedere le partite e una mamma che le stira le camicie mentre ci sono bambini molto sfortunati che hanno tantissime camicie stirate ma nessuno con cui vedere una partita e altri che, poveretti, sono costretti ad andare in giro con tutte le camicette sgualcite e che passano le serate, sempre e sempre, a vedere delle noiosissime partite. E se obietterà (perché quella furbina di mia nipote obietta già ora che ha solo due anni) che il mio discorso non ha senso, che la famiglia non la fanno i luoghi comuni e che i bimbi non si fanno tutte le menate che ci facciamo noi grandi, io, spiegatemi un attimo, cosa le dovrei rispondere? 

Quasi quasi lo vado a chiedere a Renzi…