Quello che stiamo vivendo oggi, signora mia, è una bella trappola. Ci hanno ingabbiato in questo mondo virtuale che ci toglie il sonno, la lucidità, gli amici, che ci sottrae ai tête-à-tête, agli sguardi, all’ascolto, alla concentrazione o, semplicemente, alla vita. E così ci ritroviamo tutti, sottoscritta inclusa, in giornate di grande bellezza, fatte di schermi illuminati che filtrano i concerti, le portate dei ristoranti, i panorami mozzafiato. Ci ‘spariamo’ pose e selfie, imbalsamati nei nostri sorrisi sempre identici, per raccontare, amplificare e rendere assolutamente unica e invidiabile, la nostra vita perfetta.
Una bella trappola dalla quale, mi creda, non so se usciremo vivi. Ci sono persone, che ogni giorno, raccontano la vita degli altri, dei brand, dei personaggi, sul web e ne hanno addirittura fatto un lavoro. Ci sono ragazzi che si professano affetti da continui attacchi di improvvisa solitudine mentre, in mezzo agli amici, si destreggiano con il cellulare tra una conversazione su whatsapp e l’upload di una nuova story su Instagram e poi ci sono altre persone che influenzano. Che hanno potere, soldi e porte aperte, in virtù dei seguaci che hanno comprato o accumulato sui social.
Io, lo so che le sembra tutto surreale. Che la terminologia che utilizzo è grottesca e che, secondo lei, la mia non è che una visione pessimistica di dove stiamo andando. Ma quello che non sa lei, signora mia, è che io ci sto dentro fino al collo in questa gabbia. Io che amo profondamente la lettura, la concentrazione di fronte a un libro sfogliato, tesa a sottolineare quanto mi colpisca o dia emozioni ogni singola frase e che mi ritrovo, oggi, a scorrere quantità di informazioni inutili filtrate egregiamente da titoli postati in ottica SEO; io che odio i luoghi affollati o invasi dai rumori perché impediscono gli scambi di opinione e che mi ritrovo oggi a condividere pasti e uscite o passeggiate, ammirando retro di cellulari altrui; io che accumulo follower con la speranza che qualche porta si apra anche per me, ogni tanto. Io che ci lavoro dentro a questa gabbia. Io che ogni mattina mi ripeto “chissenefrega se hai studiato filosofia e se facevi la giornalista e se amavi Pessoa e Nietzsche e arrivare alla gente con l’autenticità e la qualità”, non vedi quanto sia interessante sicuro e ‘retribuito’, attirare l’attenzione degli utenti sui social con due righe accattivanti moltiplicate per tre post al giorno che fanno un ped mensile?
Signora mia, non faccia quella faccia lì. Che mi ha fatto usare faccia due volte e il mio direttore me lo avrebbe segnato con la matita blu (vabbè che qui siamo sul web dove si possono anche commettere i refusi (per lo meno se ti chiami IKEA).
Ci stanno fregando tutti e quando ce ne renderemo conto, signora mia, sarà troppo tardi. Adesso le racconto una bella storia triste, giusto per farle un esempio. Quando facevo la giornalista ebbi il mio Pigmalione. Un uomo che fu per me una guida, un esempio, il più grande capo, il giornalista più in gamba, versatile e competente con cui avessi mai lavorato. Lui non parlava dietro ad un telefono, andava in onda in tv. E incantava le persone. Non amplificava il suo ego e le sue possibilità di carriera accumulando follower. Scriveva pezzi. E ci metteva l’anima. Non lavorava sul suo brand, cercava di tirare fuori il meglio dagli altri, dai suoi dipendenti o dai personaggi che andava a intervistare. Era un buono lui. Talmente buono, altruista e attento al dettaglio, che non si rese conto che la quantità stava prendendo il sopravvento su tutta la qualità che lui professava. E che lo stavano facendo fuori. Il più grande giornalista che abbia mai conosciuto, signora mia, oggi fa il portiere di notte. E me lo immagino lì, a leggere i libri di carta sottolineando le frasi che più lo colpiscono, a interagire con la gente a suo modo, intervistando gli ospiti dell’albergo per costruirci le sue belle storie.
Ecco dove stiamo andando, signora. Quello che mi aspetto, è un mondo reale popolato da zombie. Dove i più frettolosi, superficiali e, me lo lasci dire, maleducati, faranno strada. E dove non ci resterà che sperare in un albergo dove andare d’estate per trovare un portiere che legge, di notte, che ci fermi per guardarci dritto negli occhi e ascoltarci. Finalmente.